lunedì 6 ottobre 2008

La storia d'amore raccontata per Cavoletto

partecipo con piacere ed emozione al concorso di Sigrid
ecco allora la mia di storia d'ammmore!
Con la pellicina eh! Lo voglio con la pellicina!

Seguiva generalmente una smorfia piacevolmente stanca di mia madre mentre preparava il piatto caldo del giorno.
Tanta passione e curiosità oggi nutro per il cibo, quanta ritrosia un tempo avevo nel trovare interessante un tavolo ricoperto di anonime stoviglie color latte, di posate ingombranti per le mie mani piccine e con qualcosa da inghiottire più o meno volentieri. E più verosimile ancora la noia che mi infieriva il momento del pasto, obbligandomi a restare seduta per un intervallo troppo lungo per le mie gambette nervose.
Così, il ricordo di un piatto amato si riduce per me a poche semplici cose: il cucchiaio di polenta che mia madre soleva rovesciare nel bicchiere serale di latte freddo, il pasticcio di piselli con l’immancabile crosticina ma soprattutto l’instancabile riso al latte.
Di quel piatto ricordo il profumo leggero e ovattato che si spargeva in cucina.
Afferro ancora a memoria come respirava l’aria quando sul fuoco mia madre girava un pugno di chicchi di riso nel latte, con paziente, indomita cura.
Ripesco allo stesso modo i fiocchetti di burro che dopo una quindicina di minuti, al termine della cottura, quando il riso ormai stanco aveva già rilasciato il suo amido nel latte, si scioglievano morbidi e creavano degli aloni lucidi di panna sulla superficie della minestra.
A quel punto, scendevo dalle punte dei piedi che mi avevano consentito un rapido controllo da copilota al fornello, un breve giro intorno alla sedia e poi di scatto seduta a metà, con il cucchiaio tra le dita mentre queste, affrettate, cercavano di annodare un tovagliolo colorato di chissà quanti pasti capricciosi.
E scorgevo la pentola avvicinarsi, il mestolo rilasciare la crema di latte e riso ed io incantata osservarla addensarsi, con i gomiti a stampella mentre gli occhi, ad ingannare l’attesa, interrogavano tutti quei chicchi dalla forma singolare, curiosa e quanto mai simpatica.
Per un carattere impaziente come il mio, che ha sempre morso la vita, quello era l’istante solenne in cui si dilatava il desiderio di assaggiare la rotonda crema di latte che riposava dinanzi ai miei capelli spettinati. Solenne perché con l’attesa avrebbe guadagnato una morbida pellicina, come quella nota del budino, il cui infrangersi avrebbe svelato un ripieno fondente più chiaro.
Due abbondanti tazze di latte a bollore, un dolce pugno di riso, qualche fiocco di burro e un pizzico magico di sale.
Ecco il segreto per godere di dieci minuti preziosi di silente gioia della piccola peste irrequieta.
E ad oggi è ancora il mio segreto quando chiudo i balconi ad una stanca giornata e indosso il rassicurante sapore che quella peste ha portato con sé.

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